INDULGENZA PLENARIA NELL’OTTAVARIO DEI DEFUNTI
Fino all’8 novembre è possibile una volta al giorno, per tutti gli otto giorni, lucrare l’indulgenza plenaria per un’anima del Purgatorio, visitando il cimitero pregando per il defunto e alle condizioni previste dalla Chiesa:
1. Confessione sacramentale (anche nei giorni precedenti o successivi).
2. Comunione eucaristica.
3. Preghiera secondo le intenzioni del Papa (Padre nostro, Ave Maria e Gloria al Padre)
✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧✧
Pia Pratica “Primi cinque sabati del mese”
Accogliamo l’invito della Santissima Madre!
Suor Lucia, nel suo libro “Memorie”, racconta che il 10 dicembre 1925 ha una apparizione: ” Mi apparve la Vergine Santissima e al suo fianco un Bambino, la Madonna gli teneva la mano sulla spalla e, contemporaneamente, nell’altra mano reggeva un cuore circondato di spine. In quel momento il Bambino disse:
” Abbi compassione del Cuore Immacolato della tua Santissima Madre, che sta coperto di spine che gli uomini ingrati in tutti i momenti Vi infiggono, senza che ci sia chi faccia un atto di riparazione per strapparle“.
e subito la Vergine santissima aggiunse:
“Guarda, figlia mia, il Mio Cuore coronato di spine che gli uomini ingrati a ogni momento Mi conficcano, e dì che tutti quelli che per cinque mesi, nel primo sabato, si confesseranno ricevendo poi la santa Comunione, diranno un rosario, e Mi faranno 15 minuti compagnia meditando sui 15 misteri del rosario, coll’intenzione di darMi sollievo, Io prometto di assisterli, nell’ora della morte, con tutte le grazie necessarie alla salvezza di queste anime“.
QUINTO MESE
Vedi Santo Rosario – Cenacolo familiare
Meditazione sui misteri del dolore
di San Giovanni Paolo II
1° Mistero: l’agonia di Gesù nell’orto degli ulivi
Entrato nella lotta, pregava più incessantemente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra (Luca 22,44).
Verso il compimento della realtà, culminante nella «sua ora», Gesù avanza mediante la preghiera. (….) Nel Getsemani il nome «Abba», che sulle labbra di Gesù possiede sempre una profondità trinitaria – è infatti il nome di cui egli si serve nel parlare al Padre e del Padre, e specialmente nella preghiera -, riverbera sui dolori della passione il senso delle parole dell’istituzione dell’Eucaristia.
Gesù, invero, viene nel Getsemani per rivelare ancora un aspetto della verità su di sé, figlio, e lo fa specialmente mediante la parola: Abbà. E questa verità, questa inaudita verità su Gesù Cristo consiste nel fatto che egli, «essendo uguale al Padre», come Figlio consustanziale al Padre, è al tempo stesso vero uomo. E infatti frequentemente denomina se stesso «il Figlio dell’uomo». Mai come nel Getsemani si manifesta la realtà del Figlio di Dio, che «assume la condizione di servo» (cfr Fil 2,7) secondo la profezia di Isaia (cfr Is 53).
La preghiera del Getsemani, come e più di ogni altra preghiera di Gesù, rivela la verità circa l’identità, la vocazione e la missione del Figlio, che è venuto nel mondo per compiere la volontà paterna di Dio fino all’ultimo, quando dirà che «tutto è compiuto» (Gv 19,30). […]
Dunque Gesù Cristo, il Figlio consustanziale, si presenta al Padre e dice «Abba». Ed ecco, manifestando in un modo che potremmo dire radicale la sua condizione di vero uomo, «Figlio dell’uomo», egli chiede l’allontanamento dell’amaro calice: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26,39; cfr Mc 14,36; Lc 22,42).
Gesù sa che ciò «non è possibile», che «il calice» gli è dato, perché lo «beva» fino in fondo. Tuttavia dice proprio così: «Se è possibile, passi da me». Lo dice proprio nel momento in cui quel «calice», da Lui desiderato ardentemente (cfr Lc 22,15), è ormai diventato il sigillo sacramentale della nuova ed eterna alleanza nel sangue dell’Agnello. Quando tutto ciò che è stato «stabilito» dall’ eternità, è ormai «istituito» sacramentalmente nel tempo: introdotto in tutto il futuro della Chiesa.
Gesù, che nel Cenacolo ha operato questa istituzione, non può certo voler revocare la realtà designata dal sacramento dell’Ultima Cena. Anzi, con tutto il cuore ne desidera il compimento. Se, malgrado tutto, egli prega perché «passi da lui questo calice», manifesta in tal modo davanti a Dio e agli uomini tutto il peso del compito che deve assumersi: sostituirsi a noi tutti nell’espiazione del peccato.
Egli manifesta anche l’immensità della sofferenza che riempie il suo cuore umano. In questo modo il Figlio dell’uomo si rivela solidale con tutti i suoi fratelli e sorelle che fan parte della grande famiglia umana, dall’inizio alla fine dei tempi. La sofferenza è per l’uomo il male – Gesù Cristo al Getsemani la sente con tutto il suo peso, quello che corrisponde alla nostra comune esperienza, al nostro spontaneo atteggiamento interiore. Davanti al Padre egli rimane in tutta la verità della sua umanità, la verità di un cuore umano oppresso dalla sofferenza, che sta per raggiungere il suo culmine drammatico: «la mia anima è triste fino alla morte» (Mc 14,34).
Tuttavia, di questa sofferenza di uomo nessuno è in grado di esprimere la misura adeguata servendosi dei soli criteri umani. Al Getsemani, infatti, chi prega il Padre è un uomo, che simultaneamente è Dio, consustanziale al Padre.
Le parole dell’evangelista: «Cominciò a provare tristezza e angoscia» (Mt 26,37), come pure tutto lo sviluppo della preghiera al Getsemani, sembrano indicare non solo la paura davanti alla sofferenza, ma anche il timore caratteristico dell’uomo, una specie di timore legato al senso di responsabilità.
Non è l’uomo quell’essere singolare, la cui vocazione è di «superare costantemente se stesso»?
Gesù Cristo, «Figlio dell’uomo», nell’orazione con cui dà inizio alla passione esprime il tipico travaglio della responsabilità, connessa all’assunzione di compiti nei quali l’uomo deve «superare se stesso»
Lettera, Giovedì santo 1987
2° Mistero: la flagellazione di Gesù
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare (Giovanni 19,1).
Gesù è flagellato.
L’evangelista san Luca sottolinea per ben tre volte le torture a cui fu sottoposto Gesù prima dell’esecuzione capitale.
Anzitutto, prima della comparizione davanti al sinedrio: « Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: ” Indovina: chi ti ha colpito? ” E molti altri insulti dicevano contro di lui.» ( Lc 22, 63-65). Colui a cui più di ogni altro spettava il titolo di “ profeta “, cioè di uomo che parla in nome e con la potenza di Dio, è schernito proprio circa la sua più profonda realtà personale: l’essere egli la Parola stessa di Dio.
Anche nell’incontro con Erode Antipa si ripete una scena analoga: «Allora Erode, con i suoi soldati lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato» ( Lc 23,11).
E di fronte a Pilato, per la terza volta, Luca annota: «Pilato disse: “…..Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò”»( Lc 23,16).
San Marco descrive questo castigo: « E Pilato, volendo dare soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba, e dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso» ( Mc 15, 15).
La flagellatio romana, eseguita da alcuni soldati muniti di flagellum o di flagrum, fruste di cordicelle di cuoio annodate, o recanti sulla punta corpi contundenti, era il supplizio riservato agli schiavi e i condannati a morte. I suoi effetti erano terribili: chi la subiva non di rado restava esanime sotto i colpi.
Neppure questa atroce sofferenza Gesù ha voluto risparmiarsi: l’ha affrontata per noi.
Meditando questo secondo mistero doloroso del Rosario, ci sentiamo invitati a farci discepoli di Gesù sofferente. Egli ha pregato per noi anche col proprio corpo, sottoponendolo a sofferenze indicibili in adesione al disegno del Padre. Ha fatto dono di sé al Padre e agli uomini, manifestando a tutti noi l’insondabile miseria umana e la straordinaria possibilità di rinnovamento e di salvezza, che in lui ci è data.
Sull’esempio di Gesù, dobbiamo anche noi pregare col nostro corpo. Le nostre scelte che investono comportamenti impegnativi e difficili, come la castità secondo il proprio stato di vita, il servizio di assistenza ai fratelli, e ogni altra attività fisicamente faticosa, diventano preghiera e sacrificio da offrire a Dio in unione redentiva con i «patimenti di Cristo» (Col 1,24).
Accogliamo dunque la “flagellazione” che la sobrietà personale e l’esercizio della carità cristiana, ogni giorno, ci fanno sperimentare. È frutto e dono del mistero doloroso di Gesù, che ci sprona, ci coinvolge, ci trasforma interiormente.
Angelus, 19 febbraio 1989
3° Mistero: La coronazione di spine
(I soldati) intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!» (Matteo 27,29).
La croce è la cattedra di Dio
Il regno di Dio o «regno dei cieli», come viene detto da Matteo (cfr Mt 3,2 ecc.), è entrato nella storia dell’uomo sulla terra ad opera di Cristo, che anche durante la sua passione e nell’imminenza della morte in croce, parla di sé come di un re e nello stesso tempo spiega il carattere del Regno, che Egli, è venuto a inaugurare sulla terra. Le sue risposte a Pilato, riportate dal quarto Vangelo (Cv 18,33ss), servono come testo chiave per la comprensione di questo punto. Gesù si trova davanti al governatore romano, a cui è stato deferito dal Sinedrio sotto l’accusa di aver voluto farsi «re dei Giudei».
Quando Pilato gli contesta questo fatto, Gesù risponde: «Il mio Regno non è di questo mondo; se il mio Regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei» (Gv 18,36). Tuttavia il fatto che Cristo non è un re nel senso terreno della parola non cancella l’altro senso del suo Regno, che egli spiega nel rispondere a una nuova domanda del suo giudice:
«Dunque tu sei re?», domanda Pilato. «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo; per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37). È la più netta e inequivocabile proclamazione della propria regalità, ma anche del suo carattere trascendente, che conferma il valore più profondo dello spirito umano e la base principale dei rapporti umani: “la verità”.
Udienza, 15 giugno 1988
4° Mistero: Gesù sale il calvario sotto il pesante legno della croce
Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota (Giovanni 19,16-17).
Chi cercate in questo Gesù?
Chi cercate in questo Gesù, segnato dal dolore, «tanto sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto» (Is 52,14)? È il Servo di Dio, il Figlio dell’Altissimo che, portando i nostri dolori, si è fatto servo dell’uomo. Guardatelo, ascoltatelo nella sua situazione di pena e di prova! È in lui, che ha fatto esperienza della fragilità umana in tutte eccetto i peccato, che voi troverete la guarigione dei cuori.
Attraverso la debolezza di un uomo umiliato e disprezzato, Dio ci ha manifestato la sua onnipotenza.
Gesù, l’Innocente, accettando liberamente di andare fino in fondo nell’obbedienza al Padre che l’ha inviato, si è fatto testimone dell’amore senza limiti che Dio ha per ogni uomo. Il mistero della nostra salvezza si compie nel silenzio del Venerdì Santo dove un uomo abbandonato da tutti, portando su di sé il peso delle nostre sofferenze, è consegnato alla morte su una Croce, con le braccia spalancate in gesto di accoglienza di tutti gli uomini. Quale prova di amore più grande? Mistero difficile da concepire, mistero dell’amore infinito! Mistero che inaugura il mondo nuovo e trasfigurato del Regno.
Su questa croce il male è stato vinto; dalla morte del Figlio di Dio fatto uomo è scaturita la vita. La sua fedeltà al disegno d’amore del Padre non è stata vana, essa l’ha condotto alla risurrezione. La dimora di Cristo sofferente è ancor oggi in mezzo agli uomini. Per rivelare la sua potenza, Dio ci viene incontro nel più profondo della nostra miseria. Nell’uomo provato, colpito, disprezzato, reietto, ci è dato di scoprire il Signore che avanza carico della croce sulle vie dell’umanità. Cari amici, il Crocifisso è sempre sul vostro cammino, a fianco degli uomini che patiscono, che soffrono e che muoiono. Voi che penate e siete curvi sotto il fardello, venite alla dimora di Cristo e con lui portate la vostra croce; presentategli l’offerta della vostra vita e vi darà sollievo (cfr Mt 11,28). Al vostro fianco, la presenza amorevole di Maria, la Madre di Gesù e vostra madre, vi guiderà e vi recherà coraggio e conforto.
In un mondo in cui il male sembra trionfare, dove la speranza appare talvolta soffocata, in unione con i martiri della fede, della fraternità e della condivisione, con i testimoni della giustizia e della libertà, con le vittime dell’intolleranza e del rifiuto dell’altro, con quanti e quante, in tante nazioni lacerate dall’odio e dalla guerra, hanno dato la vita per i fratelli, fatevi “prossimo” gli uni per gli altri, come Cristo si è fatto “prossimo” per voi; non distogliete lo sguardo; abbiate il coraggio dell’incontro, del gesto fraterno, come Simone di Cirene che sostenne Gesù nella salita al Calvario. Siate artigiani audaci di riconciliazione e di pace; insieme, vivete la solidarietà e l’amore fraterno; fate brillare la Croce del Salvatore per annunciare al mondo la vittoria del Risorto, la vittoria della vita sulla morte!
Messaggio, 22 agosto 1997
5° Mistero: la crocifissione e morte di Gesù
Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua (Giovanni 19,34)
Di fronte al Crocifisso assumono drammatica consistenza le parole da Lui pronunciate nel corso dell’Ultima Cena: «Questo è il sangue mio dell’alleanza, che è sparso per molti, in remissione dei peccati» (cfr Mc 14,24; Mt 26,28; Lc 22,20).
Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante, la crocifissione. Così medita san Pietro nella sua prima Lettera: Gesù «portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (1Pt 2,24-25). E san Paolo a più riprese ribadisce che «Cristo mori per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3);
«Cristo ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio» (Ef 5,2); «Uno solo infatti è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,5-6). Come di fronte all’Eucaristia, così di fronte alla passione e morte di Gesù in Croce il mistero si fa immenso ed insondabile per la ragione umana. In quanto vero uomo il Messia ha davvero sofferto in maniera indicibile dall’agonia spirituale nel Getsemani fino alla lunga e atroce agonia sulla Croce. Il cammino verso il Calvario è stata una indescrivibile sofferenza, sfociata nel terribile supplizio della crocifissione. Quale mistero è la passione di Cristo: Iddio, fattosi uomo, soffre per salvare l’uomo, caricandosi di tutta la tragedia dell’umanità. Il Venerdì Santo, pertanto, ci fa pensare al continuo succedersi delle prove della storia, alle vicende umane segnate dalla perenne lotta tra il bene e il male. La Croce è davvero la bilancia della storia: la si comprende e la si accetta solo meditando e amando il Crocifisso. Scriveva San Giovanni: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10); e anche san Paolo affermava: «Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Nel suo progetto di salvezza e di santificazione, Dio non segue le nostre strade: egli passa attraverso la croce per giungere alla glorificazione, stimolandoci così alla pazienza e alla confidenza. Impariamo, carissimi fratelli e sorelle, dal Venerdì Santo ad accompagnare Gesù nella sua via di dolore, con umiltà, fiducia e abbandono alla volontà di Dio, trovando sostegno e conforto, in mezzo alle tribolazioni della vita, nella Croce di Cristo.
Udienza generale, 7 aprile 1993