Per una maggiore comprensione del messaggio che “Nostra Signora del Rosario” ci ha dato a Fatima, affidandolo ai tre Pastorelli Lucia, Francesco e Giacinta, ogni sabato, escluso il primo sabato del mese, leggiamo e riflettiamo su alcuni stralci dell’opera “ Gli Appelli del messaggio di Fatima” scritto da Suor Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato ( nome assunto da religiosa da Lucia dos Santos, pastorella di Fatima).
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Appello alla vita di piena consacrazione a Dio
Diciottesimo appello del Messaggio (Parte 3° di 4)
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Per questo Gesù Cristo, quasi alla fine della sua vita terrena, volle lasciarci una lezione ed un esempio di umiltà: Trovandosi a tavola con i suoi discepoli, si alzò, prese un asciugamano e una bacinella con dell’acqua e lavò loro i piedi. Poi, sedendosi nuovamente a tavola, disse: « Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica »(Gv 13,12-17). Ciò che il divino Maestro vuole insegnarci qui, non è tanto la cerimonia di lavare o no i piedi ai nostri fratelli, ma la carità e l’umiltà con cui dobbiamo trattarci e comportarci gli uni con gli altri.
Siamo stati scelti per seguire il Cristo che obbedisce a suo Padre. Tutti i passi della sua vita sono per noi un esempio di obbedienza.
Quando aveva dodici anni, Gesù sali con i genitori al Tempio di Gerusalemme per la festa di Pasqua; finiti i giorni di festa, i genitori lo persero, e smarrito camminò per tre giorni, il tempo di ritrovarlo. Poi, dice San Luca, Gesù «parti con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso » (Lc 2,51). Obbediva a quelli che, accanto a lui, rappresentavano l’autorità di Dio, suo Padre. Più tardi, avrebbe detto: « Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato » ( Gv 6,38). Questa dev’essere l’obbedienza delle persone consacrate, che sono state scelte e hanno accettato questa scelta promettendo di seguirla con un giuramento o voto fatto a Dio.
Non possiamo pensare in alcun modo che la mentalità moderna possa costituire un motivo per essere dispensati dall’impegno che abbiamo preso di obbedire. L’obbedienza non può essere considerata come un giogo o un’imposizione; l’obbedienza religiosa si fonda su una libera volontà: la volontà di chi ha fatto voto o giuramento, volendo in questo modo sottomettersi alla volontà di Dio.
Tale obbedienza è la realizzazione libera di una scelta: la persona ha scelto Dio come sua guida e si è offerta per essere condotta. Questa non è nemmeno una diminuzione, anzi, è un valore che innalza al di sopra di coloro che non hanno abbastanza generosità per questo.
Ci sono anche diritti personali che il voto non sacrifica e che tutti abbiamo l’obbligo di rispettare, come devono rispettarli anche i superiori. Questi non possono abusare dell’autorità che Dio ha dato loro, perché in tal caso sarebbero responsabili del disorientamento dei sudditi e del loro retrocedere; non devono sovraccaricarli pretendendo più di quanto stabilito, soprattutto se queste pretese indicano in qualche modo una mancanza di fiducia o sono fariseismo, imponendo – come dice Cristo nel Vangelo – carichi pesanti che loro non portano; essi non devono usare la forza per obbligare e assoggettare i sudditi, come se fossero prigionieri in un carcere: questo non dà risultati, perché li esaspera. Già san Paolo vide questo errore e dopo aver esortato i figli a ubbidire ai genitori, raccomandò a questi di non esasperare i figli: « Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino » (Col 3,20-21).
Gesù Cristo è il nostro modello di obbedienza come giovane operaio che lavora nell’umile officina di suo padre, nell’oscuro villaggio di Nazaret, soggetto agli ordini e alle esigenze dei clienti che vengono a fare i loro acquisti. Con tutti il suo comportamento è umile, compiacente e modesto. Si è assoggettato al peso del lavoro e alla scomodità di una casa povera per fare la volontà del Padre. Perciò ha potuto dire: « Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite » (Gv 8,29). Anche noi dovremmo poter dire a Cristo: «Tu sei sempre con me, perché io faccio sempre le cose che ti sono gradite ». Lo scopo principale della nostra piena consacrazione al Signore è questo: fare la volontà di Dio, far piacere a Dio e vivere la vita in intima unione con Dio – unione di affetto, unione di volontà, unione di azione mediante la fede.
In Gesù Cristo abbiamo anche il modello dell’obbedienza dell’apostolo. Quando giunse il momento stabilito dal Padre, sempre obbediente alla sua volontà, lasciò tutto e partì per andare incontro alle anime, portare loro la parola di Dio e guidarle sulla via della salvezza.
Così andò a casa di Zaccheo e del fariseo, e aspettò vicino al pozzo la Samaritana e i suoi conterranei per portare loro l’acqua viva della grazia, il perdono dei peccati e la luce della conoscenza di Dio. Per questo non sottraendosi mai al lavoro, alla fatica, al sacrificio, intensificava la preghiera e la penitenza. Compiere l’opera che il Padre gli aveva affidato era per lui importante quanto il nutrimento: « Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. (…) Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera » (Gv 4,32.34). Questa è anche la missione della persona consacrata: obbedire alla volontà di Dio per compiere l’opera che le è stata affidata, ossia la propria santificazione e la salvezza delle anime.
Gesù Cristo è nostro modello anche come vittima, sacrificata in obbedienza alla volontà del Padre per la redenzione del mondo.
Vediamo questa obbedienza nella preghiera che ha rivolto al Padre nell’Orto degli Ulivi: « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). Come succede a noi, anche la natura umana di Gesù aborriva la sofferenza, l’umiliazione e la morte, ma egli antepose l’obbedienza alla volontà di Dio alla ripugnanza della propria natura: « Non avvenga come voglio io, ma come vuoi tu ».
La prospettiva della sofferenza causò a Gesù Cristo orrore e angoscia, al punto di dire ai suoi apostoli: « La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate » (Mc 14,34), ma non per questo disobbedì: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42). Se l’obbedienza non avesse nulla di costoso, che merito avremmo nell’obbedire? È quando essa richiede sacrificio che dimostriamo a Dio il nostro amore.
Il voto di castità esige dalle persone consacrate la purezza del cuore, degli affetti, dei pensieri, delle parole e delle opere. E anche in questo Gesù Cristo è nostro modello: fu casto, puro e santo.
Ha amato Dio, suo Padre, con l’amore puro di un cuore verginale; ha amato le anime e le ha lavate dalle macchie del peccato col proprio sangue. Nell’Apocalisse san Giovanni ci dice di aver visto in cielo « una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (…). Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi” » (Ap 7,9-17). Anche se questa moltitudine può rappresentare tutti coloro che si salvano, tuttavia in modo particolare rappresenta coloro che hanno seguito Cristo verginalmente, perché loro sono disponibili, liberi da impegni con le cose terrene e preparati a servire il Signore, giorno e notte nel suo Tempio.
Poi san Giovanni racconta di aver visto un angelo con un turibolo in mano, che venne a mettersi accanto all’altare di Dio: « Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono. (…) E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi sali davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi » (Ap 8,3-4). Non lo so bene, ma credo che questo angelo debba essere la figura del sacerdote puro e casto, che sale all’altare e offre a Dio le preghiere, le offerte e le virtù del suo popolo.
La purezza del cuore, la purezza degli affetti e la purezza delle intenzioni sono come il frutto della castità e la sua difesa. In una delle sue lettere, San Paolo scrive: « Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello. perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito » (1 Ts 4,3-8). ……..