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Gli Appelli del Messaggio di Fatima

Per  una maggiore comprensione del messaggio che “Nostra Signora del Rosario” ci ha dato a Fatima, affidandolo ai tre Pastorelli Lucia, Francesco e Giacinta, ogni sabato, escluso il primo sabato del mese, leggiamo e riflettiamo su  alcuni stralci dell’opera “ Gli Appelli  del messaggio di Fatima”  scritto da Suor Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato ( nome assunto da religiosa da Lucia dos Santos, pastorella di Fatima).

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Terza parte – I COMANDAMENTI DELLA LEGGE DI DIO

Non commettere adulterio

« Non commettere adulterio »(Dt 5,17]).

In questi tempi in cui la società sembra voler fare di questo peccato una legge, la Sacra Scrittura continua a ripetere il comandamento di Dio: « Non commettere adulterio ». È la parola di Dio, e la parola di Dio non cambia, come non cambia la sua legge: « È più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge » (Lc 16,17).

Questo precetto ci obbliga tutti, ognuno secondo il proprio stato, a rispettare la castità. Coloro che sentono in sé la vocazione allo stato coniugale sono obbligati, finché non arrivi il momento di contrarre l’unione definitiva e benedetta da Dio con il sacramento del matrimonio, di rispettare la castità, trattandosi con rispetto, come se fosse un albero il cui frutto è ancora acerbo ed è necessario che maturi per poi essere colto a suo tempo.

Una volta ricevuto il sacramento del matrimonio, l’unione tra i due è definitiva e non ammette spartizioni; è indissolubile finché i due vivono. È stato così che Dio ha istituito l’unione coniugale e nessuno ha il diritto di modificare o trasgredire ciò che Dio ha stabilito. Sappiamo di questa istituzione divina dalla Sacra Scrittura, quando ci descrive la creazione del genere umano: « Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra » (Gn 1,27-28).

Concentriamo la nostra attenzione sull’ordine con il quale Dio stabilisce l’unione coniugale: ha creato l’uomo e la donna, poi li ha benedetti, e solo dopo averli benedetti ha permesso la loro unione definitiva, qui espressa dai suoi frutti che sono la crescita dell’umanità. Questa benedizione di Dio, che deve precedere l’unione degli sposi, ha oggi per i battezzati una forma concreta: il sacramento del matrimonio. Solo dopo aver ricevuto questo sacramento, l’unione può essere considerata lecita e autorizzata.

Dio ha istituito quest’unione formata unicamente da due persone; e non ammette spartizioni con nessun’altra, finché queste due persone vivono. Questo è l’ordine dato dal Signore, sin dal principio: « Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2,24). « I due, una sola carne »: i due e non di più!

I due, uniti da Dio in una sola carne, ricordano l’albero della vita piantato dal Creatore nel giardino terrestre affinché, coltivato, a suo tempo dia frutto. Se cerchiamo in un albero il frutto fuori del tempo giusto, non lo troveremo. E se raccogliamo il frutto prima che sia maturo, sarà un frutto acerbo, insipido e, se lo mangeranno, nocivo alla salute; se invece raccogliamo questo frutto quando è maturo, nella stagione giusta stabilita da Dio, allora il frutto è saporoso, germe di vita e di felicità. Nuovi fiori sbocceranno sull’albero, nuove primavere sorrideranno nelle case e nuove vite intoneranno cantici al loro Creatore.

Questo è lo scopo principale per cui Dio ha istituito l’unione coniugale e ad esso sono obbligati tutti coloro che scelgono per se stessi questo stato di vita. Con esso Dio ha voluto associare l’umanità alla sua opera creatrice; le ha dato, diciamo così, un posto d’onore; ma in questo posto, al pari dell’onore, esistono le leggi che Dio ha imposto e che obbligano ad una grande fedeltà. Ogni famiglia, come un albero, ha un solo tronco e da questo tronco sbocciano molti rami, che sono i suoi figli: figli che rappresentano il frutto e copriranno di frutti l’albero.

È dunque necessario che l’albero, la famiglia, dia a Dio tutti i frutti che egli vorrà trarre da essa. Non è lecito rendere inutili dei boccioli, che sono germi di nuove vite, perché ciò equivale a distruggere e inutilizzare il frutto dell’albero rendendolo sterile, incorrendo così nella sentenza emessa da Gesù Cristo contro il fico sterile. Un giorno, di mattina presto, Gesù si dirigeva verso la città di Gerusalemme e « vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: “Non nasca mai più frutto da te”. E subito quel fico si seccò » (Mt 21,19).

Ora, per quale motivo una persona dovrebbe volere nel suo campo un fico che si riveste di foglie verdeggianti, ma non dà frutto? Il suo legno non serve per costruire; è li ad occupare il terreno inutilmente. Serve solo per essere tagliato e buttato nel fuoco, perché non ha compiuto la missione alla quale Dio l’ha destinato: dare frutti a suo tempo. Dio ha indicato il tempo giusto per ogni cosa: uno è il tempo della semina, altro quello del piantare; uno è il tempo della potatura, altro quello del raccolto; e tutta la creazione che ci è dato contemplare segue le leggi prescritte da Dio; tutta meno la creatura umana!

Un giorno, i farisei vollero sapere il parere di Gesù sullo stato delle cose e « gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie. (…) Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio di rimandarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto » (Mc 10,2-9). Abbiamo qui la conferma della legge imposta da Dio fin dall’inizio: i due saranno una carne sola; sono tronco dell’albero della vita che non ammette spartizioni. E se, a causa della durezza del cuore umano, è necessaria la separazione. in tal caso entrambi sono obbligati a rispettare la legge della castità, perché, come dice Gesù, « chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio » (Lc 16,18).

Questa legge di Dio è ben chiara, e non è permesso a nessuno darle un’interpretazione tale da deturparla. Solo la Chiesa è autorizzata ad essere interprete della legge di Dio, e noi dobbiamo perciò seguire gli insegnamenti del capo supremo della Chiesa che è il Papa, Vescovo di Roma. E se viene fuori qualcuno ad esporci una dottrina diversa o contraria alla sua, non dobbiamo dargli credito, né seguirla, perché la Chiesa Cattolica Apostolica Romana è l’unica alla quale Cristo ha promesso e concesso l’assistenza dello Spirito Santo; perciò è la Chiesa, nella persona del suo capo supremo e Vicario di Cristo sulla terra, che ha la luce e la grazia necessarie per definire, insegnare e governare spiritualmente il popolo di Dio.

Non manca oggi chi interpreta questa legge di Dio in senso contrario agli insegnamenti del capo della Chiesa, ma queste false dottrine sono state condannate da Dio in ogni tempo. Già nell’Antico Testamento Dio si lamentava e rinfacciava al suo popolo le profanazioni del santuario familiare e gli mandava a dire, dalla voce del profeta Malachia, che esse erano l’unico motivo per cui le loro offerte non venivano accettate in cielo: « Voi coprite di lacrime, di pianti e di sospiri l’altare del Signore, perché egli non guarda all’offerta, né la gradisce con benevolenza dalle vostre mani. E chiedete: Perché? Perché il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che ora perfidamente tradisci, mentr’essa è la tua consorte, la donna legata a te da un patto. Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest’unico essere, se non prole da parte di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore Dio d’Israele, e chi copre d’iniquità la propria veste, dice il Signore degli eserciti. Custodite la vostra vita dunque e non vogliate agire con perfidia »(Mal 2,13-16).

Tutte queste parole divine ci mostrano la gravità dei peccati commessi contro il comandamento che proibisce di commettere l’adulterio. La risposta che Gesù Cristo ha dato ai farisei, quando questi lo interrogarono sul divorzio, è degna della nostra meditazione: « Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma ». Perciò è questa durezza del cuore che non deve esistere perché, oltre tutto, è contraria alla giustizia e viola la promessa che si fecero l’un l’altra di amarsi reciprocamente per sempre. Non dimenticate ciò che il Signore disse subito dopo: « L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto », e ancora: « chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio ». Perciò, tutti gli atti contro questo comandamento sono gravi di fronte a Dio.

Per questo è spaventoso osservare il mondo di oggi, con il disordine che regna a questo riguardo e con la facilità con la quale ci si immerge nell’immoralità. Come rimedio non resta che una soluzione: pentirsi, cambiare vita e fare penitenza. Per coloro che non vorranno incamminarsi su questa strada, Gesù Cristo disse: « Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » (Lc 13,5), cioè come le diciotto vittime che vi furono quando crollò la torre di Siloe.

Che la soluzione sia nel pentimento e nel cambiamento di vita ce lo conferma il caso dell’adultera che Gesù riuscì a salvare dalla morte per lapidazione, come ci descrive san Giovanni. Questi ci racconta che, mentre Gesù era nel Tempio ad ammaestrare, lo raggiunsero gli scribi e i farisei che conducevano con sé una donna sorpresa in adulterio; presentandola al Signore gli domandarono se era del parere che si dovesse lapidarla, come ordinava la legge di Mosè. In principio Gesù non rispose. « Siccome insistevano nell’interrogarlo disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. (…) Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno (…). Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Gesù le disse “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose “Nessuno, Signore”, E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” » (Gv8,7-11).

Qui, in Gesù Cristo, vediamo cosa sia la misericordia di Dio verso un peccatore pentito. Certamente egli vide nel cuore di quella donna il pentimento, e la perdonò con la promessa di non condannarla se non fosse ricaduta in peccato: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più ». È possibile che gli interpreti di questo passo evangelico dicano che il senso delle parole di Gesù era la condanna a morte prescritta dalla legge di Mosè in tali casi. Può essere che sia così, ma io credo che l’ordine che il Signore aveva dato alla donna di non ricadere in peccato è la condizione per non essere condannata alla morte eterna. Perché ogni peccato commesso ci espone al pericolo della condanna eterna, visto che non sappiamo se Dio ci darà tempo e grazia per pentirci e fare penitenza. « Va’ e d’ora in poi non peccare più »: è il cammino tracciato da Dio per tutti coloro che, avendo peccato, vogliano pentirsi e cambiare vita per salvarsi.

A proposito di ciò di cui stiamo parlando, osservate queste parole di san Paolo: « Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie » (1 Cor 7,10-11). Abbiamo qui di nuovo ben fissata l’indissolubilità del matrimonio: a nessuno è permesso separare ciò che Dio ha unito. E se, a causa della durezza del cuore umano, si rende indispensabile una separazione, allora bisogna che ognuno si mantenga in castità, cioè che stringa bene tra le mani le redini delle proprie passioni, delle inclinazioni disordinate e dei vizi della natura, perché Dio non ci ha creati per soddisfare le passioni della carne, ma per salvare l’anima e con essa lo stesso corpo per il giorno della risurrezione.

Così, si deve evitare di cadere nella schiavitù del peccato, perché come dice il Signore, « chiunque commette peccato è schiavo del peccato» (Gv 8,34). Questo ci trascinerà all’inferno. L’apostolo san Paolo ci avverte contro questo pericolo dicendo: « Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi (…). Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolatri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro » (Ef 5,3.5-7).

L’apostolo ci raccomanda di non avere niente in comune con gli impuri, affinché non ci trascinino sulla strada dell’impurità. Perché è giusto il proverbio del nostro popolo: Frequenta i buoni e sarai come loro, frequenta i cattivi e sarai peggio di loro. Perciò dobbiamo allontanarci dalle cattive compagnie, affinché esse non ci trascinino su strade ignobili; continuiamo però ad amare questi nostri fratelli e a trattarli con discrezione, cercando di aiutarli con le nostre preghiere, attrarli con le nostre parole e buoni esempi, affinché si avviino su una strada migliore, su un cammino di purezza, verità, giustizia e amore. Dobbiamo farlo per imitare Gesù Cristo, che ha amato i peccatori, pur detestando il peccato, e ha dato la vita per la loro salvezza: « Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui » (Gv 3,17).

Ave Maria!