///Vangelo e commento di Don Luigi Maria Epicoco///
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,2-13
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elìa e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elìa è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».
Parola del Signore.
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Commento al Vangelo Mc 9,2-13
L’esperienza della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor è una di quelle esperienze così difficili da capire in astratto ma che diventano immediatamente chiare quando le paragoniamo a qualcosa della nostra esperienza.
Infatti il racconto di oggi si riferisce a quei momenti della vita, forse anche solo a pochi attimi, in cui la luce di alcune situazioni è talmente entrata in noi da lasciare un segno indelebile.
Ad esempio un periodo della nostra infanzia particolarmente felice, oppure l’abbraccio con una persona significativa per noi, o il cielo stellato in una notte d’estate quando tutto in quel momento sembrava perfetto.
Questi istanti di luce sono l’esperienza del Tabor. Dio ci dona questi momenti perché la loro memoria ci aiuti ad attraversare il buio. È così che fa con Pietro, Giacomo e Giovanni: li immerge nella luce di questa visione perché così potranno sopportare poi il buio nell’orto degli ulivi.
C’è però una cosa che dobbiamo accettare: non possiamo trattenere la luce all’infinito.
Pietro, rivoltosi a Gesù, disse: «Rabbì, è bello stare qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Infatti non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento. Poi venne una nuvola che li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo». E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo.
Quando si spegne la luce non è vero che c’è solo il buio. Noi sappiamo che c’è Gesù con noi in quel buio (“guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo”). È la Sua Presenza la cosa che più ci illumina quando intorno a noi è notte fonda e ci sentiamo perduti.
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Santo del giorno: Beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico