///Vangelo e commento di Don Luigi Maria Epicoco///
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,2-10
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Parola del Signore.
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Commento al Vangelo Mc 9, 2-10
La luminosa festa della Trasfigurazione di cui oggi facciamo memoria ci porta idealmente sul monte Tabor, luogo dove i discepoli devono apprendere una lezione indimenticabile:
«Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”.
È la paura a suggerire a Pietro questa soluzione. È la paura che ci fa cercare rassicurazioni persino nella fede. “Tre capanne”, per tenere sotto controllo ciò che non si può tenere sotto controllo, cioè il Mistero. Ma avere fede non significa piantare una tenda come una certezza che ti rassicura. Significa invece “ascoltare” il Figlio Amato:
«Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!».
E il messaggio di questo Figlio è di una semplicità disarmante: scendere da quella montagna! A noi non piace scendere. A noi non piace la “cruda realtà” della nostra vita. Vorremmo sempre effetti speciali. Ma nessuno può arrivare a capire la Pasqua se non “scende”. La teologia chiama questo processo kenosis, ed è la via tracciata da Gesù.
Il significato della vita non è nella fuga dalla realtà, ma nel fondo della realtà. Bisogna bere fino in fondo tutto il calice amaro di quello che siamo, che stiamo vivendo, che ci sta accadendo per poter seguire davvero il Figlio di Dio, non ci sono alternative.
Nessuno può dire di ascoltare il Figlio se non prende sul serio ciò che in questo momento sta vivendo, la sua nuda e cruda realtà. Ma non con un ascolto qualsiasi, ma con un ascolto di amore. È sempre difficile scendere dal Tabor, perché è sempre difficile amare ciò che c’è e non ciò che vorremmo ci fosse.
Ma il discepolato è esattamente seguirlo con fiducia in questa fatica. Il cristianesimo è vivere a modo Suo non a modo nostro. Solo così si riesce a scavallare un altro monte, il Calvario. È solo seguendolo con questa fiducia che si arriva oltre ciò che sembra la fine. È solo così che dal buio si passa alla luce della Pasqua.
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Santo del giorno: Festa della Trasfigurazione del Signore